LA CITTA' IN GUERRA

The age of violence, così Eric Hobsbwam definisce gli anni che corrono dal 1914 al 1945. Bergamo ha la rilevante fortuna di non essere mai stata bombardata pesantemente né durante il primo né durante il secondo conflitto mondiale, mentre i suoi abitanti sono stati direttamente coinvolti al fronte.

Le guerre, anche quando non devastano gli edifici, trasformano le città: cortei contrapposti durante la Grande guerra e nei due anni seguenti percorrono il Sentierone, si scontrano; i fautori dei conflitti si mobilitano per creare edifici sempre più grandiosi, che dovrebbero dimostrare, pure negli assetti urbanistici, la presunta superiorità bellica e, durante gli anni della dittatura, anche “razziale”. Sorgono nuovi monumenti, volti a ricordare i morti, i propri morti, ma soprattutto l’esigenza del “sacrificio per la patria”; altri, come la Rocca e il Museo del Risorgimento, vengono risignificati, assumendo il ruolo di “guardiani a imperitura memoria della grandezza della patria”.

Se nel primo conflitto mondiale i segni della guerra sono legati soprattutto al ritorno dei feriti e dei morti e alla terribile epidemia di "spagnola" che induce a riaprire il Lazzaretto (tragico evento, del quale significativamente non abbiamo documentazione fotografica), il secondo conflitto porta la guerra, quella combattuta, direttamente nelle vie e nelle piazze di Bergamo. Sui timpani dei propilei di Porta Nuova compaiono scritte inneggianti al conflitto, si costruiscono edifici, come la Casa del Littorio, espressione delle volontà imperiali, si dà vita alle celebrative “architetture effimere”.

La sconfitta del fascismo avrebbe portato alla distruzione dei monumenti più compromessi, come quello alla “Rivoluzione fascista”, ma in città permangono ancora oggi architetture e simboli del passato regime.

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